La figura di Alfonso Silvestri, morto nel 1997, è stata una felice contraddizione alla tendenza tutta moderna della grande specializzazione del lavoro archivistico. Alfonso Silvestri rappresentava ancora il modello “classico” dell’archivista e paleografo, profondo conoscitore della documentazione affidata alle sue cure, affascinato dalle sue suggestioni, dai racconti che essa nasconde e che l’archivista scopre e porta alla luce. Intorno ad uno studioso si sviluppa sempre una biblioteca, costituita di elementi attinenti al suo ambito di studi: ricerche parallele, doni di altri studiosi, riviste poco note.
Nel caso di Alfonso Silvestri, che ha svolto il suo lavoro tra gli Archivi di Stato di Mantova, Salerno e Napoli, questo lavoro lo ha portato – soprattutto nella terza e definitiva sede - a stabilire contatti con gli storici,abituali frequentatori della sala di studio, per i quali si rivela preziosa la figura dell’archivista che, avendo la conoscenza dei documenti e la padronanza degli inventari, può consigliare percorsi, suggerire spunti, rivelare l’esistenza di documenti, come dimostrano le molte affettuose dediche ai volumi che gli sono stati donati. La sua attività di ricercatore lo ha condotto invece ad occuparsi intensamente del territorio salernitano, come i suoi saggi dimostrano, da Il Commercio a Salerno nella seconda metà del Quattrocento edito dalla Camera di Commercio nel 1952, fino ad Aspetti della vita socioeconomica nel Cilento alla fine del Medioevo edito da Laveglia 1989, studi sempre rigorosamente basati sulle fonti archivistiche di prima mano.
Nel corso dei lunghi anni di lavoro ha inoltre intrecciato con altri studiosi del settore un rapporto di scambi e circolazione di documenti librari: questi libri costituiscono oggi il fondo che porta il suo nome. Si tratta di circa 2000 volumi, quasi tutti riguardanti la storia dell’Italia Meridionale. Alla sua morte i suoi figli hanno voluto donare il fondo all'Archivio di Stato di Salerno.